estratto

VERSIONE ANTICA

Narra Volonté

In cucina la nonna aveva preparato il tè e ora se ne stava comoda comoda sul sofa in salotto a farsi i cavoli suoi. Ci sedemmo a bere il tè delle dieci, pensando al tè pomeridiano, a ciò che ci attendeva. Avrei avuto molte, troppe cose da dire, e rimasi in silenzio, stetti a guardare la meravigliosa valchiria che mi sorrideva a qualche centimetro. Il tè ci aveva scaldate, Yvonne si slacciò la zip della felpa scura sfoggiando una camicetta pallida, diafana quasi come il cielo là fuori.

«Torniamo in camera?» Propose ridendo. Io le andai dietro, quello che sapevo fare meglio. Salimmo le scale, stavolta fu lei a precedermi.

«Cosa facciamo ora?»

«Non so, parliamo?»

La visione dei suoi riccioli mi stava mandando in visibilio, a momenti le sarei svenuta fra le braccia per l’emozione. Mi sembrava ancora di vivere un sogno, l’idillio tanto agognato che finalmente diveniva realtà. Sederle vicino, sfiorare il suo corpo con un lembo del mio vestito, respirare il suo profumo, fare di lei la mia dèa. «Io ti amo.» Le sussurrai teneramente all’orecchio, innocente, illusa, vittoriosa.

«Anche io ti amo V.» Mi cinse le spalle con le braccia, ci stringemmo l’una all’altra dividendo il cuscino. Con un gesto distratto Yvonne provò a toglieri le scarpe con i piedi, si era dimenticata di lasciarle all’ingresso. Non permisi a mia madre di guastare il mio trionfo, ricacciai indietro il pensiero, concedendomi interamente a Yvonne, con il corpo e con l’anima. Sentivo mescolarsi i nostri sospiri, ansimavo di piacere, attratta dal calore di lei, annegando nei uoi occhi d’ambra, lasciando che con le dita mi palpasse i pantaloni all’altezza del lato B, sfiorandomi le cosce, le mutandine, stuzzicandomi con la sua arte. Qualcuno bussò alla porta, di scatto mi ritrovai in piedi. Eravamo entrambe vestite, anche se Yvonne aveva tutti i capelli scarmigliati. In fretta le lanciai un pettine mentre lei sistemava le pieghe sulle coperte nascondendo il cuscino.

«Ah ragazze, volevo preparare l’orzo.» Era la nonna. Sospirai di sollievo. Aprii lo stesso imbarazzata, svilita dalla furia dipinta sul viso di Yvonne. «Ah un’altra cosa, è tornata Brenda. Tra un po’ venite giù aiutandomi a preparare il pranzo? Sapete com’è fatta, aspetta un bambino, non possiamo affaticarla.»

«Sì nonna.» Non le chiusi la porta in faccia. Allarmata sbiancai. «Yvonne le scarpe.» Bisbigliai piegandomi sul pavimento.

«Ecco.» Me le passò furtiva cercando con gli occhi la felpa. A essere onesta anche io avevo i brividi, il calore di poco prima era andato a farsi benedire. Svelta gliela passai aiutandola a indossarla. E mentre io filavo silenziosa a riporre le sue scarpe all’entrata, la colsi con la coda dell’occhio tornare al cellulare, mettendo i piedi per terra, le calze scure che risaltavano sul pavimento.

Quando rientrai la mia fiancée stava finendo di mormorare alcuni versi di Baudelaire, teneva fra le mani un libro abbastanza corposo per i nostri standard. Chiusi la finestra senza fare rumore, evitando che la porta sbattesse sullo stipite facendo incazzare mia madre.

«Ora però devo tornare al lavoro.» Non sembrava sinceramente dispiaciuta.

Davanti a mia madre non ci toccammo, non ci baciammo, a stento trovavo la forza di rispondere al suo sorriso. Yvonne si preparò a costeggiare quei boschi fino alla stazione per prendere il treno. E capii come tutta la mia vita dovesse apparirle una bianca rosa appassita.

Rapita rimasi ad ascoltare. «”Nulla ne oscurava il perfetto splendore, tutto sembrava servirle di ornamento. Si sarebbe detto talvolta che essa si credesse amata da ogni cosa. Affondava voluttuosamente la sua nudità nei baci della biancheria e del raso.” “Malattia e morte fanno cenere del fuoco che per noi due arse. Di quei grandi occhi così fervidi, così teneri, di quella bocca in cui il mio cuore annegò, di quei baci possenti come un balsamo, di quei moti più vivi che raggi, cosa resta? Terribile, anima mia. Null’altro che lo schizzo sbiadito a matite di tre colori, e come me, muore in solitudine, e che il tempo vegliardo e inglorioso, ogni giorno struscia con la sua ala rubida. Nero assassino della vita e dell’arte, tu non ucciderai mai nella mia memoria colei che fu per me gloria e gioia.»

Quando venne il mio turno provai timidamente a mostrarle la mia preferita. Io non ne capivo molto di poesia ma Yvonne invece sì. Lessi ad alta voce il “Canto D’Autunno”: «”Ben presto affonderemo nelle fredde tenebre. Addio, viva chiarità delle nostre troppo brevi estati. Sento già cadere con dei lugubri colpi la legna echeggiante sul selciato dei cortili. L’inverno rientra nel mio essere. Collera, odio, brivido di orrore, duro e forzato affanno. E come il sole nell’inverno polare, il mio cuore non sarà più che una massa dura e ghiacciata. Ascolto fremendo ceppo su ceppo cadere. Il patibolo non manda un’eco più sorda. Il mio spirito è come una torre che soccombe sotto i colpi pesanti dell’infaticabile ariete. Mi sembra cullato da quei colpi monotoni che in gran fretta da qualche parte si stia inchiodando una bara. Per chi? Ieri era ancora estate, ed ecco, l’autunno. Questo rumore misterioso suona per una partenza. Amo la luce verdastra dei tuoi lunghi occhi, dolce beltà, ma tutto oggi mi è amaro, e nulla, né il tuo amore, né l’alcova, né il caminetto, compensano il sole dardeggiante sul mare. Ma pure amami, tenero cuore, come una madre, anche se sono ingrata e cattiva, amante o sorella, abbi l’effimera dolcezza di un glorioso autunno o di un sole declinante. Breve compito attende la tomba, avida. Ah lascia che la fronte posata sulle tue ginocchia gusti rimpiangendo la bianca torrida estate, il raggio giallo e dolce della fine di stagione.”» Chiusi il libro con lentezza. Lo posai sulla scrivania. Ci baciammo. Pensai alla bara che avevamo nel deposito, in quella specie di piccolo baraccone che esisteva sul retro della casa. Guardai Yvonne. Dunque era questo che era? Un fantasma?


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Hollowness - Papaveri Di Sangue

Si tratta del secondo libro in pubblicazione di Keim Matteo Camarda, autore noto per la raccolta di racconti Oscure Vanità.

Il romanzo narra le vicende di persone alienate in un mondo cinico e tetro, in cui ben poco spazio viene riservato all'amore.

Trama

23 Settembre 2018: Yvonne Lermié, aspirante influencer e scrittrice, segretamente eroinomane, si trova su un treno affranta per il fiasco del suo debutto in società, quando viene contattata da Thew Litwick, ambiguo YouTuber e giovane istrione che le offre un riscatto in cambio del suo tempo. In fuga dalla noia Thew viene iniziato a una serie di cerimonie oscure assecondando l’attrazione del male. Yvonne rifugge la stampa e i media, interessati all’omicidio di sua sorella. Volonté, la fidanzata torna dalla Bretagna dopo nove anni con tutta la sua famiglia, i superstiziosi figli del becchino.

I conflitti di potere, gli esperimenti sociologici, la stregoneria, gli scontri di mafia, le sette sataniche, la continua ricerca di un’affermazione spingeranno tutti i protagonisti, amorali e malvagi verso il baratro, mentre Yvonne Lermié dà inizio alla propria ascesa. Un cammino spirituale, esoterico in un autunno languido e macabro per un’atmosfera fiabesca, ricco di colpi di scena e riflessioni forse capaci di illuminare la nostra epoca.


Keim Matteo Camarda nasce a Como il 9 Novembre 1997 da padre siciliano e madre singhalese. Noto in ambito letterario per le poesie pubblicate sulla prestigiosa rivista Nova, è testimonial italiano per importanti servizi come Bitrix24, Noxinfluencer.com, in Italia affianca CTL Editore Livorno, con cui ha già pubblicato la raccolta di racconti d’esordio Oscure Vanità. Dal 2015 milita in memoria di Karen Blixen e Penny Dreadful. Attualmente studia Mediazione Interlinguistica presso l’Insubria.

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